BEATA ELIA DI SAN CLEMENTE
(TEODORA FRACASSO)

1901 – 1927

Memoria facoltativa, 29 maggio

La Beata Elia di San Clemente è vissuta nel monastero San Giuseppe in Bari nei primi anni del XX secolo. Nata a Bari il 17 gennaio 1901 – nello stesso anno in cui sorgeva il monastero che un giorno l’avrebbe accolta – Teodora (Dora per familiari e amici), aveva ricevuto dalla Provvidenza un grandissimo dono: genitori onesti, profondamente cristiani, dotati della sapienza biblica così frequente nei semplici. Fu educata, dunque in maniera esemplare alla fede e alla carità verso tutti. Ma il Signore volle fare ancora di più e bussò alla sua porta, quando aveva poco più di tre anni, con un sogno che la segnerà per la vita: vide una bella signora cogliere da un’aiuola un piccolo giglio e volare in cielo stringendoselo al cuore. La Signora era la Madonna – le spiegò la mamma – e il piccolo giglio era la stessa Dora che con tanto amore durante il mese di maggio le aveva offerto ogni giorno dei fiori e una preghiera.

Suor Elia di San Clemente

Dotata di precoce sensibilità, la bimba da allora apparve silenziosa, assorta: amava contemplare i fiori del giardinetto di casa e di fronte ad una splendida rosa un giorno ingenuamente si inginocchiò, promettendo in cuor suo che avrebbe dedicato tutta la sua vita alla bella Signora e a Colui che l’aveva creata. C’è già tutta suor Elia in questo breve episodio: semplicità, umiltà, determinazione e fede.

Verso la vocazione monastica

Visse la vita delle ragazze del popolo: istruzione basilare, servizi domestici in casa, Santa Messa quotidiana, opere di carità. Ma le bastò questo per imparare a riconoscere in ogni cosa la presenza del Signore: era Lui il centro dei suoi pensieri, senza pesantezze, come dimostra il folto gruppo di coetanee che la seguivano affascinate. A loro parlava senza tanti complimenti di immolazione e di vigilanza contro il peccato. Erano adolescenti come tutte le altre, eppure le davano retta e si sforzavano di imitarla. Si riconosce in lei il ritratto fedele dell’autentico evangelizzatore, quello che oggi Papa Francesco ci ripropone senza stancarsi, quello che segue la logica evangelica del “sì, sì” e “no, no”, della Croce senza sconti. È qui il segreto della libertà interiore di questa ragazza che, per fare un esempio, accettò con tutta semplicità l’incarico di preparare alla Prima Comunione uno studente in arretrato con i Sacramenti: lei, che non aveva terminato nemmeno le elementari.

A 14 anni entrò nel Terz’Ordine Domenicano, ma la clausura era il suo sogno da sempre: ali età di 19 anni poté realizzarlo entrando nel monastero San Giuseppe di Bari. E nello stesso periodo una quindicina di sue amiche scelsero la vita consacrata, tutte vocazioni solide e perseveranti nel tempo.

Verso la vetta della santità nella quotidianità

In monastero visse una vita ordinaria di probanda, novizia e poi professa. Nulla che attirasse l’attenzione: anzi, dopo la Vestizione sperimentò la notte dello spirito, un “muro di bronzo” – scrisse – che le oscurava tutto ciò in cui aveva fino a quel momento creduto, tanto che la maestra delle novizie voleva rimandarla a casa. E invece proprio in queste tenebre Dora, divenuta ormai suor Elia, riconobbe la via più sicura per raggiungere il suo unico amore: Dio.

M.T. Ferrari, B. Elia di San Clemente, Chiesa di S. Croce, Bari

Da quel momento canterà con tutta l’anima e con tutta la vita la gioia dell’annientarsi in Dio, perdersi per Lui, per un amore tanto più puro e fecondo quanto più oscuro e incomprensibile: “ti seguano altri sul Tabor, io ti voglio seguire nel Getsemani e sul Calvario”, scriveva. I suoi scritti (pensieri, ricordi, poesie, lettere) traboccano di amore oblativo, indifferente alle luci e alle consolazioni – che pure le vennero donate in gran numero dopo la notte della purificazione -, un amore centrato esclusivamente in Dio. Lo straordinario in lei coincideva con la sua quotidianità, con la perenne serenità e stabilità interiore, con lo stato di preghiera continua: lavorava senza risparmiarsi, in obbedienza assoluta, ma aveva sempre tempo per un gesto di carità e un sorriso. Il suo direttore spirituale la indirizzò verso il “Voto del più perfetto”: suor Elia esitò a lungo, ma solo perché temeva che tale voto le impedisse di seguire in pienezza quella piccola via di nascondimento che era ormai parte di lei.

Non voleva eccellere in nessun modo, nemmeno nel segreto della sua anima. Manca ancora un tassello al suo ritratto, quello che sarà decisivo per il suo cammino di santità: una volta pacificatasi interiormente, affidatasi a Dio, si trovò immersa in prove e contraddizioni esteriori, sempre più intense e talvolta incomprensibili. Non è per noi difficile riconoscere in questo il misterioso passaggio di Dio che la chiamava a innalzarsi sempre di più: anche lei lo riconobbe e con amore accettò tutto, abbracciò ogni croce, sorrise sempre a chi la feriva, forse involontariamente. Perdonava, taceva e offriva, per le anime e per la Chiesa.

Fu un’ascesa rapidissima, in vertiginosa salita, fino alla grave malattia che la colpì e che lì per lì non venne compresa: accettò pure questa volta, anche se sapeva che stava morendo. Quando il male divenne evidente, era ormai tardi: morì per encefalite il giorno di Natale del 1927, a mezzogiorno in punto, mentre tutte le campane della città suonavano a festa. Non aveva ancora compiuto 27 anni. Un “fallimento”, si direbbe: una splendida vocazione, tante speranze riposte in lei dai superiori, tutto in fumo! Invece in quel momento suor Elia cominciò a “lavorare” a pieno ritmo, come aveva promesso: un ininterrotto ruscello di piccoli e grandi favori scorre da quel giorno verso quanti si rivolgono a lei.

Il 18 marzo 2006 è stata beatificata: il primo decreto in tal senso di Papa Benedetto XVI, che nel maggio precedente aveva compiuto a Bari il primo viaggio del suo pontificato. Ora le sue spoglie riposano in un’urna accanto all’altare della cappella del suo monastero, meta di un ininterrotto pellegrinaggio di fedeli, ai quali la sua fotografia sorride con dolcezza e un pizzico di gioiosa complicità.

«Ti lascio per il mio Dio»

Addio casa mia, nido di pace a amore, dolce santuario di fede e virtù, addio per sempre, ti lascio per il mio Dio. Signore, ho udito la tua voce, volo al Carmelo. Addio Mamma diletta, profumata di ogni virtù… custodisti il mio cuore come in una pisside preziosa … Ti lascio solo per il mio Dio, non ti abbandono ma ti lascio per brevi istanti… E Babbo del mio cuore, addio, addio, ti lascio perché Gesù mi chiama, e sono felice di poter immolare a Lui il grande amore che ti porto, tu che ben mi comprendevi e tanto mi amavi mi doni al Signore perché sai bene che non sei il Padrone ma il custode della mia vita… Compresi che per condurre anime a Dio non era necessario compiere opere grandi; anzi, era proprio l’immolazione completa di tutta me stessa che mi chiedeva il buon Gesù: compiuta nel silenzio d’ogni cosa… Nella solitudine del mio cuore potevo salvare anch’io un numero infinite d’anime… Con la preghiera intima, continua, e col distacco da ogni cosa.
(Beata Elia di S. Clemente, Scritti, sez. I, A. Scritti Autobiografici, 1.)

 

a cura del Carmelo di S. Giuseppe di Bari
da La Beata Elia di San Clemente, in Pro Orantibus, anno LXI, n. 2.

Grazie alla comunità dei Carmelitani Scalzi della Provincia Veneta