BEATA MARIA FELICIA DI GESÙ SACRAMENTATO
(“CHIQUITUNGA”)

1925 – 1959

Memoria facoltativa nell’America Latina, 28 aprile

María Felicia Guggiari nacque a Villarrica de l’Espíritu Santo (Paraguay) il 12 gennaio 1925, da Ramón e Arminda Echeverría, primogenita di sette figli, in una famiglia di tradizione “liberale”, con punte anticlericali. Fu battezzata nella cattedrale della città il 28 febbraio 1928. In famiglia era chiamata “Chiquitunga”, nome con il quale sarebbe diventata famosa, datole dal padre a motivo della sua fragilità fisica.

Frequentò la scuola salesiana “Maria Ausiliatrice”, apprendendo i primi elementi della fede e traducendoli presto nella carità verso i più poveri: un giorno, tornando da scuola, regalò un maglione, dono del papà, a una bambina infreddolita. Per la Prima Comunione fece «il proposito di essere ogni volta migliore, più buona». Visitava ogni giorno Gesù nel Tabernacolo in parrocchia o nella cappella della scuola, da sola o portando con sé altri bambini e Amaru, la sorella minore.

Aveva sedici anni quando in Paraguay venne ristabilita l’Azione Cattolica, a cui aderì con entusiasmo, iniziando quello che chiamò «il mio cammino di perfezione». Un’esistenza intessuta di preghiera personale, di ascesi gioiosa e di dedizione incondizionata verso i bambini, i giovani, gli anziani e gli ammalati, nonostante l’opposizione della famiglia. Due anni dopo emise la “consacrazione all’apostolato”, cui unì il proposito di verginità. L’Eucaristia quotidiana era la sua forza. Vi partecipava al mattino, a digiuno, secondo l’uso del tempo. Per non destare preoccupazioni, adottò uno stratagemma: si alzava prima di tutti, macchiava la tazza della colazione e cospargeva di briciole il suo posto a tavola. Si presentava bella nella sua semplicità, i lunghi capelli scuri raccolti in due trecce, e il viso senza trucco. Il suo indumento preferito era un grembiule bianco, per ricordare di avere un’anima pura e per non allontanare da lei i suoi amati poveri, con un abbigliamento consono alla sua classe sociale. Unico ornamento, un rametto di gelsomini del Paraguay, dai fiori piccoli e dal profumo intenso.

Durante la guerra civile del 1947, il padre e il fratello Federico vennero deportati a Posadas, in Argentina. Insorsero difficoltà economiche, la casa fu ipotecata e, come nipote di José Patricio Guggiari, ex presidente della Repubblica, la ragazza ebbe problemi burocratici per proseguire gli studi. In questi frangenti non smarrì la speranza, invitando tutti al perdono e alla riconciliazione. Il padre, tornato dall’esilio nel 1950, si trasferì con la famiglia nella capitale Asunción. Chiquitunga aveva venticinque anni, ma si ambientò presto e aderì all’Azione Cattolica della nuova parrocchia. Ripresi gli studi per essere di sostegno in famiglia, ottenuto il diploma nel 1952, fu maestra nella scuola parrocchiale del Perpetuo Soccorso, e in quella dei Padri Redentoristi. Chiamata ad assumere responsabilità diocesane nell’Azione Cattolica, continuò il volontariato presso i bambini piccoli, che prediligeva, e i prigionieri politici di qualsiasi fazione, sempre sorridente e disponibile in famiglia. La sua fede oltre che presso il Tabernacolo si fortificava nella preghiera notturna e nella recita del Rosario meditato di quindici misteri.

Il disegno di Dio

Durante un’assemblea dell’Azione Cattolica diocesana, conobbe Ángel Sauá Llanes, Presidente della sezione Studenti, laureando in Medicina e figlio di un immigrato musulmano della Siria. Tra loro nacque una bella amicizia e insieme iniziarono a visitare gli ammalati della periferia. Presto Chiquitunga scoprì di provare un sentimento speciale per Ángel. Intensificò allora la preghiera, chiedendo al Signore luce sulla propria vocazione: matrimonio o vita consacrata? La risposta venne in maniera sorprendente e chiara.

Un giorno del maggio 1951, Sauá le confidò un segreto: voleva diventare sacerdote. Lei, dopo averlo ascoltato attentamente, promise di mantenere il segreto e di aiutarlo a realizzare quel sogno: «Starò al tuo fianco giorno e notte, pregando e offrendo la mia vita perché tu possa essere, come Dio vuole, un sacerdote santo». Per non provocare il padre di lui, progettarono un piano: dopo la laurea, Sauá sarebbe andato in Spagna per una specializzazione e lì avrebbe realizzato la propria vocazione.

Il 10 aprile 1952 Sauá partì per accompagnare suo padre in Siria, poi volò a Madrid. Chiquitunga, mentre si sentiva incerta sul proprio futuro, per incoraggiarlo, gli scrisse molte lettere, di cui ce ne sono rimaste 48. Per lei ci volle un nuovo, inatteso incontro per capire dove Dio la voleva.

Il 20 agosto, passando per l’Ospedale Spagnolo di Asunción, incontrò madre Teresa Margherita del Sacro Cuore, priora del primo Carmelo paraguayano, che era lì ricoverata. Le parlò a lungo ricevendo da lei consigli e incoraggiamenti. Scrisse di lei nel suo Diario: «Ho trovato una madre».

Il 16 novembre Sauá le comunicò che sarebbe entrato in Seminario, e lei lo rese partecipe della luce donatale da Dio sulla propria scelta di vita. Allora rivelò ai parenti le loro scelte. Tutti furono sconvolti: i genitori la rimproveravano di aver infranto i rapporti con la famiglia del giovane, mentre il padre di lui, furibondo, abbandonò il tetto coniugale. Tornò dalla moglie e dai figli solo il 6 gennaio 1954: per tutti fu un miracolo, ottenuto dalle preghiere dei due giovani.

Al Carmelo: «Arrivederci nell’eternità!»

Attratta dalla bellezza della spiritualità del Trattato della vera devozione di San Luigi Maria Grignon de Montfort, il 9 settembre 1954 si consacrò a Gesù per le mani di Maria, mentre la decisione di entrare al Carmelo scatenava non solo l’opposizione paterna, ma pure quella dei sacerdoti, che vedevano in lei un sostegno utilissimo per l’Azione Cattolica diocesana. Fu tutto inutile. Lei, che poco prima aveva scritto «Stare tranquilla mi uccide», il 2 febbraio 1955 andava a ritirarsi per sempre tra le quattro mura di un convento. Poco prima di entrare, nell’ultima lettera a Sauá scriveva: «Fratello mio, arrivederci nell’eternità!».

La Priora, Madre Teresa Margherita, così la ricorda: «Grande spirito di sacrificio, carità, generosità, caratterizzata da grande mansuetudine e gioia comunicativa, sempre vivace e scherzosa». Eppure prima della vestizione, per cinque mesi, fu preda di strazianti dubbi: c’era tanto bisogno di lei nel mondo, non avrebbe dovuto lasciarlo alle spalle. Affidandosi alla guida degli scritti di San Giovanni della Croce, padre del Carmelo, superò col sorriso sulle labbra la terribile notte della fede, vissuta nel segreto dell’anima, conosciuta solo dalla priora e dal confessore. Scriveva: «Ho sete del suo amore, un’ansia inspiegabile d’offerta totale, di immolazione nascosta e silenziosa».

Con la professione temporanea, il 15 agosto 1956, prese il nome di suor Maria Felicia di Gesù Sacramentato. Da allora chiedeva spesso a Gesù: «Che la mia vita faccia naufragio nel mare infinito del tuo amore».

Tre anni dopo, il 7 gennaio 1959, ormai prossima alla consacrazione definitva, le fu comunicata la morte della sorella “Mañica” per epatite infettiva. Inspiegabilmente, pochi giorni dopo, il morbo colpì anche lei. Ricoverata il 22 marzo 1959, mercoledì della Settimana Santa, il giovedì venne dimessa, rientrò in monastero e partecipò pienamente al Triduo pasquale. Il Venerdì Santo, il cappellano, nel comunicarla, notò un livido sulla lingua: nel giro di tre giorni, macchie di sangue le apparvero sul corpo. Allora, la priora convocò il fratello Freddy che, posta la diagnosi di Purpura, sgomento, esclamò: «Sono medico e non posso salvare mia sorella!». Rientrata in ospedale, la giovane carmelitana scalza iniziò l’ultima tappa della sua esistenza, senza perdere il sorriso. Nelle otto lettere scritte alla priora e alla comunità, firmandosi “la desterradita” (la piccola esile), manifestò l’intenso desiderio di rientrare in comunità.

Il mattino del 28 aprile 1959, alle 4.10, chiese che le venisse letta la poesia di santa Teresa d’Avila “Muoio perché non muoio” e, circondata dai suoi cari, mormorando «Gesù, ti amo! Che dolce incontro! Vergine Maria!», entrò nella pace di Dio. Aveva trentaquattro anni.

Verso la gloria

Sepolta nel cimitero della “Recoleta” ad Asunción, dal 28 aprile 1993 riposa nella cappella del suo Carmelo. Il racconto della sua vita e della sua offerta si divulgò immediatamente nel Paese e in tutta l’America Latina, tanto da portare all’apertura del suo Processo di beatificazione, che si è svolto nella sua prima fase nella diocesi di Asunción, dal 13 dicembre 1997 al 28 aprile 2000. Dopo la dichiarazione della sua validità il 22 febbraio 2002, nel 2004 la “Positio super virtutibus” è stata trasmessa a Roma. Il decreto, firmato da papa Benedetto XVI, che la dichiarava Venerabile per l’eroicità delle sue virtù, è stato promulgato il 27 marzo 2010.

Inoltre, dal 19 aprile 2005 al 27 aprile 2007 presso la diocesi di Asunción, si è svolto il processo su un miracolo attribuito alla sua intercessione: la guarigione di un neonato, Ángel Ramón, venuto alla luce con segni di asfissia. Dopo dieci minuti, a seguito di un’invocazione a suor Maria Felicia, il cuore del piccolo cominciò a battere.

Papa Francesco il 6 marzo 2018, giorno in cui ha approvato tra gli altri il miracolo di San Paolo VI, di Sant’Oscar Romero e di San Franscesco Spinelli, ha pure approvato il miracolo della Venerabile Maria Felicia, che è stata beatificata il 23 giugno 2018 ad Asunción.

Di lei rimangono – oltre alle Lettere e al Diario, stesi prima di entrare al Carmelo – poesie e preghiere, pensieri brevi e intensi di amore. E davanti al suo Crocifisso cantava:

«Come si sta bene, Gesù, quando si sta con te,
le ginocchia a terra, le braccia in croce;
a metà della notte avvolta nel mistero:
solo il luccichio di qualche stella, la luce.
Come si sta bene, Gesù, quando si sta con te,
la fronte reclinata sul petto, così!
Intanto le ore scorrono, le più divine,
qual profumo di soave gelsomino.
Come si sta bene, Gesù, quando si sta con te,
quasi non si sente palpitare il cuore,
e van tacendo, ad una ad una le preghiere
sulle labbra che, baciandoti, premono la croce».

Profilo tratto dalla rivista «Il Sorriso di Padre Benigno», 25, 3 (2018).

Grazie alla comunità dei Carmelitani Scalzi della Provincia Veneta