BEATO FRANCESCO DI GESÙ MARIA GIUSEPPE
(FRANCISCO PALAU Y QUER)
1811 – 1872
Fondatore delle Congregazioni
delle Sorelle Missionarie Carmelitane
e delle Sorelle Missionarie Carmelitane Teresiane
Memoria facoltativa, 7 novembre
Francesco Palau y Quer nacque nel 1811 ad Aytona, nella diocesi di Lèrida (Catalogna), da una modesta famiglia di contadini. A 14 anni, ospitato e mantenuto da una sorella sposata, poté frequentare come esterno il seminario diocesano, riuscendo poi, col suo impegno, a ottenere una borsa di studio, per esservi accolto come come interno. A 21 anni, però, affascinato dalla figura del Profeta Elia, decise di farsi carmelitano, entrando nel noviziato dell’Ordine a Barcellona, dove professò solennemente nel1833. Era intanto scoppiata una guerra civile: e il convento fu incendiato dai rivoluzionari cosiddetti “liberali” e i religiosi furono costretti all’esclaustrazione.
Per alcuni mesi Francesco si dedicò alla preghiera e ad esperimentare quella vita eremitica, da cui l’Ordine Carmelitano era nato. Poi tornò in famiglia per prepararsi a ricevere l’ordinazione sacerdotale. Continuò comunque nell’eremitismo per i primi due anni di sacerdozio, vivendo in una grotta, in preghiera e penitenza. Quando accettò di dedicarsi anche al ministero della predicazione, si trovò coinvolto senza sua colpa nelle intricate vicende politiche del tempo, al punto che, nel 1840, fu esiliato in Francia, dove dovette restare per circa undici anni.
Dapprima visse dalle parti di Perpigano, ancora come eremita, ma occupandosi anche nella composizione di alcune opere teologiche: se ne stava solitario in una grotta trasformata in cappella, ma era sempre più ricercato dai fedeli che ricorrevano a lui per averne un aiuto spirituale. A volte accettava anche di predicare nei dintorni, lieto di poter vivere alla maniera degli antichi profeti del Carmelo, di cui si sentiva sempre più figlio ed erede. Col suo abito carmelitano e la sua cappa bianca, con l’imponenza della sua personalità, faceva veramente pensare all’antico profeta biblico con la sua celebre irruenza. Ma gli avvenimenti sembravano metterlo continuamente in un’alternanza necessaria tra vita solitaria e predicazione profetica. Per sopravvenute difficoltà col Vescovo del luogo, dovette trasfersi a Cantayrac, in alcune umide grotte, dove trascorreva intere giornate e buona parte delle sue notti insonni pregando e nutrendosi soltanto di pane, frutta e verdure. Rispose ai sospetti suscitati dal suo stile di vita con due libri: La vita solitaria e Il solitario di Cantayrac.
Sognava intanto di raccogliere attorno a quel suo progetto di vita contemplativa una comunità maschile e una femminile, ma incontrò la decisa opposizione del vescovo locale. Per realizzare tale sogno, osteggiato in Francia, tornò in Spagna nella diocesi natale, ma l’accoglienza gli fu ancora negata. Si trasferì allora a Barcellona, dove un Vescovo amico gli offriva di lavorare alla ricristianizzazione della diocesi. Vi fondò una particolare scuola di catechismo per adulti (con metodi e contenuti del tutto personali) che chiamò Scuola delle Virtù: il successo fu straordinario e la frequenza fu di circa 2000 persone. Anche questa scuola, però, dopo tre anni, fu soppressa dal governo, con l’accusa d’aver favorito uno sciopero di operai, organizzato a Barcellona.
Mandato al confino a Ibiza, P. Francesco – lamentando che non ci fosse allora in Spagna nessun tribunale davanti al quale difendersi, e nessuna legge alla quale appellarsi – tornò ancora vivere da eremita in grotte sempre più nascoste e inaccessibili. Deciso comunque a dedicarsi all’attività pastorale nelle isole Baleari, ottenne dalla Santa Sede il titolo di missionario apostolico, e vi esercitò per tre anni un travolgente apostolato. Il confino gli fu revocato nel 1860, e poté così tornare a Madrid deciso di darsi interamente al servizio apostolico della Chiesa.
Può sembrare paradossale, ma – nei lunghi anni di quasi esclusiva contemplazione – egli si era sempre più concentrato sul mistero della Chiesa, fino ad esserne innamorato. Ad essa, quando pregava, si rivolgeva con parole d’amore: «Nel giorno in cui sono stato ordinato sacerdote, sono stato consacrato, attraverso l’ordinazione, al tuo servizio, sono stato consegnato a te, Chiesa, e da quel giorno non appartengo più a me stesso, tuo sono e tue le mie azioni, per quanto sono e ho». E, se nella vita mostrava di amarla come una sposa pura e santa, nei suoi numerosi scritti la sentiva e la descriveva come una madre tenera e amorosa. Il mistero della Chiesa, corpo mistico di Cristo, si era impresso sempre più profondamente nella sua anima, tanto che poteva scrivere: «La mia missione è di annunciare ai popoli che tu, Chiesa, sei infinitamente bella e amabile, e predicare che ti amino. Amore per Dio, amore per il prossimo: questo è l’oggetto della mia missione». A una sua figlia spirituale scriveva: «La mia unione, le mie nozze spirituali con la Chiesa costituiscono l’oggetto unico e principale delle mie occupazioni. Di questo ho piena la testa e il cuore e non so pensare altra cosa e assorbe talmente le mie potenze e i miei sensi, che in cinque giorni sono riuscito a stento a consumare un pane».
Inutile sottolineare che, assieme alla devozione per la Chiesa, egli alimentava anche, con lo stesso impeto la devozione a Maria che egli considerava come “archetipo perfetto”. È questa la caratteristica propria del “carisma carmelitano” del beato Francesco Palau: portare a compimento con la vita e negli scritti – sia a livello di riflessione che di esperienza – l’ecclesializzazione della contemplazione, già insegnata da S. Teresa d’Avila: una Chiesa “contemplata” nella sua mistica “personalità”. Gli scritti che egli ci ha lasciato (non solo in spagnolo, ma anche in catalano e in francese) sono segnati da un’impronta fortemente dialogica e figurativa.
Nell’ultimo periodo, Padre Francesco si dedicò così con tutte le sue forze a fondare e dirigere gruppi di laici “carmelitani” che si dedicassero all’insegnamento religioso all’infanzia e alla cura degli infermi a domicilio. Ma solo i gruppi femminili (uniti in due Congregazioni) sopravvissero alla guerra civile del 1936 e sono fiorenti ancor oggi.
Morì a Terragona nel 1872, ed è stato betificato da San Giovanni Paolo II il 24 aprile del 1988.
di P. Antonio Maria Sicari ocd